Ho proposto, nel mio ultimo post, un’analisi del primo paragrafo di Amatissima di Toni Morrison. Mi sono concentrata sulle prime, più probabili, considerazioni che questo esordio può suscitare in un lettore che affronta il libro per la prima volta. Ho sorvolato su un dettaglio che — credo — non colpisca immediatamente l’attenzione del lettore, perché è nascosto tra le pieghe di quanto ci viene raccontato che è già di per sé piuttosto difficile da gestire, una casa misteriosamente abitata “dal veleno di una bambina.”
La questione riguarda l’incongruenza nelle informazioni temporali che questo primo paragrafo ci fornisce. Prima ci viene detto che quando Howard e Buglar (a distanza di due mesi l’uno dall’altro) scappano “abbandonano la nonna, Baby Suggs, la madre. Sethe, e la sorellina, Denver”, poi nello specificare quando i due se ne sono andati si dice “erano solo settant’anni che l’Ohio si era proclamato stato”, cioè era il 1873, data che all’inizio era stata menzionata proprio per indicare il presente del racconto in cui al 124 erano rimaste solo Sethe e sua figlia Denver. In altre parole non può essere il 1873 la data in cui Howard e Buglar sono scappati. La data deve essere anteriore se quando se ne vanno Baby Suggs è ancora viva (cosa che verrà confermata dalle pagine che seguono).
E dunque? Registrata l’incongruenza, che facciamo? Non mi interessa cogliere l’autrice in fallo (esercizio fine a se stesso), mi interessa piuttosto impostare una riflessione che provi ad interrogare (e intercettare) le possibili intenzioni autoriali qui in gioco. Come ci giostriamo qui e, per estensione, in altri casi di incongruenza testuale? Non occorre chiamare in causa i padri del New Criticism (quelli che hanno reso famosa l’analisi testuale blindata, cioè, indipendente da ogni considerazione extratestuale, per intenderci) per intuire che parlare di intenzioni autoriali è un’arma a doppio taglio (lì dove un elemento biografico spiega, rischia di svuotare il testo delle sue dinamiche interne). Detto questo, credo sia inevitabile chiederci il perché di questa discrepanza; interrogarci, significa in prima battuta, presupporre un significato, cioè, postulare che l’errore sia funzionale ad attirare la nostra attenzione su qualcosa, ovvero, su qualcos’altro. Attribuire date diverse ad un medesimo evento potrebbe essere, per esempio, la conseguenza plausibile di un passato segnato dal trauma: ricordare, in un contesto del genere, sarebbe inevitabilmente complicato dall’amplificazione o dalla rimozione o dalla fissazione, tutti possibili effetti collaterali che potrebbero inficiare la limpida e univoca collocazione degli accadimenti passati. Se questa ipotesi prendesse ulteriore forma, potremmo dire che l’incongruenza circa un dettaglio temporale, potrebbe simboleggiare la difficoltà intrinseca del ricordare quando il passato ha segnato profondamente (e dolorosamente) la vita: il passato diventa confuso, il presente instabile e il futuro impensabile.
Questo tipo di ipotesi, che astrattamente ha una sua sensatezza, va però calato nel contesto testuale specifico. Se da un lato ben presto scopriremo che, in effetti, il passato che soprattuto Sethe si trova a dover gestire è una ferita aperta ancora pulsante è altrettanto vero che in questo inizio non è lei a raccontare la vicenda. La lente narratoriale che qui gestisce le informazioni dimostra una distanza emozionale ed una ampiezza di conoscenza che ci fa presupporre si tratti di una voce che guardi alla vicenda dall’esterno e non dall’interno del racconto. A questo tipo di narratore esterno informato è difficile associare la confusione temporale da trauma che avevamo ipotizzato. Dobbiamo spostare la nostra attenzione altrove e chiederci quale potrebbe essere la funzione di minare la nostra fiducia nell’autorità di questa voce narrante — questa potrebbe infatti essere la conseguenza del nostro soffermarci su queste incongruenze. Forse Toni Morrison ci vuole dire che ricordare e confrontarsi con il passato sono sempre e comunque problematici indipendentemente da eventuali traumi. O forse è semplicemente un errore che ha l’interessante effetto collaterale di provocare in noi queste ipotesi e riflessioni. Siamo disposti a fare anche questo quando abbiamo a che fare con grandi libri: ne vale la pena, comunque.