Chiunque abbia risalito il percorso dell’Hudson ricorderà sicuramente i monti Catskill. Sono un ramo della grande famiglia degli Appalachiani e ad ovest del fiume li si scorge da lontano inerpicarsi fino ad altezze maestose e dominare la regione circostante. Ogni mutamento di stagione, di tempo, persino ogni ora del giorno producono una variazione nei magici colori e nell’aspetto di queste montagne, che sono considerate da tutte le brave donne di casa, vicine e lontane, alla stregua di un ottimo barometro.
Ai piedi di queste montagne fiabesche il viaggiatore avrà notato talvolta un sottile filo di fumo che si arriccia su un villaggio i cui tetti di tegole spiccano in mezzo agli alberi, proprio dove le tinte azzurrognole dell’altopiano sfumano nel verde fresco del paesaggio più vicino. E’ un piccolo villaggio piuttosto antico, fondato da alcuni coloni olandesi agli albori della provincia, proprio mentre il governo del buon Peter Stuyvesant (riposi in pace!) muoveva i primi passi, e solo pochi anni prima erano ancora in piedi le dimore dei primi abitanti, costruite in piccoli mattoni gialli importati dall’Olanda, con le finestre provviste di grate e frontoni triangolari, sormontati da banderuole.
In questo stesso villaggio, e precisamente in una di queste case, viveva, molti anni or sono, quando il paese era ancora una provincia della Gran Bretagna, un tipo semplice e di buon cuore che si chiamava Rip Van Winkle. Discendeva da quei Van Winkle che si erano distinti valorosamente ai tempi di Peter Stuyvesant e che lo accompagnarono nell’assedio di Fort Christina.
[“Rip Van Winkle”
Whoever has made a voyage up the Hudson must remember the Catskill Mountains. They are a branch of the great Appalachian family, and are seen away to the west of the river, swelling up to a noble height, and lording it over the surrounding country. Every change of season, every change of weather, indeed, every hour of the day, produces some change in the magical hues and shapes of these mountains, and they are regarded by all the goodwives, far and near, as perfect barometers.
At the foot of these fairy mountains the traveler may have seen the light smoke curling up from a village, whose shingle roofs gleam among the trees, just where the blue tints of the upland melt away into the fresh green of the nearer landscape. It is a little village of great age, having been founded by some of the Dutch colonists in the early times of the province, just about the beginning of the government of the good Peter Stuyvesant (may he rest in peace!), and there were some of the houses of the original settlers standing within a few years, built of small yellow bricks brought from Holland, having latticed windows and gable fronts, surmounted with weathercocks.
In that same village, and in one of these very houses, there lived, many years since, while the country was yet a province of Great Britain, a simple, good-natured fellow, of the name of Rip Van Winkle. He was a descendant of the Van Winkles who figured so gallantly in the chivalrous days of Peter Stuyvesant, and accompanied him to the siege of Fort Christina.]
Così comincia “Rip Van Winkle”, il racconto di Washington Irving che assieme a “La leggenda di Sleepy Hollow” ha portato maggior fortuna allo scrittore statunitense. Poco importa che il racconto sia preso pari pari da materiale folklorico tedesco; la sua ambientazione americana—che costituisce l’unico, naturalmente cruciale, apporto di Irving—è più che sufficiente per fare della storia una icona dell’americanità. Ed è proprio il suolo americano ad aprire questo racconto, il fiume Hudson e i monti Catskill, che il narratore presenta non astrattamente, ma cercando di evocare l’esperienza diretta e vera dei suoi lettori. Quello che descrive—il fiume e i monti che si inerpicano—è proprio lì per chiunque sia stato da quelle parti. Questi riferimenti al lettore americano (in apertura si tratta di “chiunque”, un po’ più sotto sarà “il viaggiatore” e infine “le brave donne di casa”) rivela un malcelato desiderio di autenticazione, molto spesso presente in testi ottocenteschi intrisi di esigenze di giustificazione dello scrivere fiction.
Per quanto (o potremmo dire proprio perché) il narratore desideri evitare di dare l’impressione di parlare da una posizione di privilegio coinvolgendo il lettore (essenzialmente americano), il privilegio c’è, eccome! Abbiamo a che fare qui con un narratore cosiddetto autoriale, che condivide, come indica il nome, i privilegi dell’autore; sa tutto del mondo narrato, quello che succede, che è successo e succederà, quello che alberga nelle interiorità dei personaggi, i loro timori, sogni, manie, dubbi, passioni e chi più ne ha più ne metta. Narratore autoriale è un altro modo di dire narratore onnisciente; personalmente preferisco la prima dicitura alla seconda. Riservo ad una sosta un approfondimento su questo tema. Mi limito per adesso a sottolineare una caratteristica tipica di questo tipo di voce, la sua presenza intrusiva e udibile, qui riscontrabile nel commento tra parentesi “riposi in pace” e nella specificazione “ho già fatto notare.” Nella sosta dedicata a questo tipo di voce avremo modo di distinguere tra i due tipi di intrusione qui esemplificati.
Il procedere della narrazione in queste prime righe è tipica di una scrittura ottocentesca: i doveri espositivi, per così dire, del narratore, sono qui onorati. Si procede dal generale—la visione panoramica del paesaggio—al particolare—il villaggio. E da qui, in un movimento che può essere senz’altro paragonato ad uno zoom, siamo invitati a soffermarci su una casa ben precisa e, finalmente, al suo proprietario, Rip Van Winkle, dove sapevamo già dovevamo arrivare, dato il titolo del racconto. Si tratta, è evidente, di un caso esemplare di incipit espositivo, che prepara il terreno al racconto della storia oggetto della narrazione.
A questo, tipico, procedere per quello che riguarda il dato spaziale, corrisponde una particolare attenzione al dettaglio temporale. Sono citati, i coloni olandesi fondatori del villaggio, il governo di Peter Stuyvesant, l’appartenenza della provincia alla Gran Bretagna e l’assedio del Forte Cristina. La storia che prende forma qui rimanda all’avvicendarsi (anche cruento) dei vari dominatori; possiamo intravedere un possibile riferimento alla dipendenza dalla Gran Bretagna nella notazione iniziale sui monti Catskill che, ci viene detto, “sono un ramo della grande famiglia degli Appalachiani.” Questa attenzione non fa che preparare il terreno all’ulteriore, cruciale, avvicendamento di cui si occuperà il racconto. Non ci deve peraltro sfuggire all’interno di questa descrizione eminentemente realista, un doppio riferimento ad una categoria del tutto contrapposta a quella oggettiva e verificabile della storia. Mi riferisco a due aggettivi—“magici” (colori) e “fiabesche” (montagne)—che suggeriscono in maniera indiretta la possibilità di un mondo altro, nascosto, ma comunque presente tra le pieghe del reale.
Tutto è pronto per il racconto di quello che è successo a Rip, a cavallo tra storia americana e fiaba.
Questo e molti altri incipit saranno oggetto di analisi (questa volta in video) nel corso on line a mia cura che comincia lunedì 19 ottobre. I dettagli potete trovarli qui.