Ritorno sulla presenza di un io nelle prime righe di un romanzo, per approfondire ulteriormente questa scelta basilare da parte dello scrittore. Quando richiesti di parlare della genesi di un dato romanzo, è tipico da parte degli scrittori accennare all’indecisione circa questa questione: fino a quando la scrittura non è ancorata ad un dato punto di vista (e relativo pronome personale), la storia non decolla. Effettivamente, a ben pensarci, le storie dipendono in maniera forte, essenziale, dalla prospettiva di chi le racconta. Facciamo esperienza quotidiana di come la stessa storia cambi a seconda dell’occhio che ha guardato gli eventi: lo sanno i tribunali, lo sanno i giornalisti di cronaca, lo sappiamo anche noi. Se solo ci pensiamo un momento, ci rendiamo conto che non c’è descrizione o evento che non cambi – anche solo leggermente – quando cambia il narratore. La dinamica di un incidente, il resoconto di cosa ha incrinato una relazione, o attivato un battibecco o fatto scattare un colpo di fulmine: tutto il nostro quotidiano dipende dalla prospettiva attraverso la quale viene raccontato: non esiste narrazione che possa dirsi neutra. Possiamo radicalizzare la faccenda e dire che non esiste storia senza che in essa si palesi una prospettiva. Avremo modo di chiederci se questo vale anche per i casi in cui il narratore è, come si suol dire, onnisciente.
Ribadito questo, non è scritto da nessuna parte che il pronome con relativo proprietario che ci accoglie ci accompagnerà per l’intero corso del libro. Se – forse – la situazione standard è proprio quella della continuità della prospettiva, ci sono moltissimi casi in cui le prospettive di diversi personaggi si alternano o si avvicendano. E noi lettori come negoziamo questa eventualità? Affidandoci al testo che è il primo, principale maestro che ci può guidare nei meandri della sua storia. Le eventuali prospettive multiple, se possono in un primo momento spiazzare, diventano poi un bellissimo modo di ricordarci una caratteristica essenziale della nostra vita e della realtà che viviamo fatta, appunto, di punti di vista che si intrecciano a volte rafforzandosi a volte contraddicendosi. E un modo, magari, di educarci alla loro accoglienza.