Il seggio vacante (J. K Rowling, 2012)

6.11        Una vacanza è da ritenersi imprevista:

Il seggio vacante

  1. quando un consigliere di un’amministrazione locale non dichiara, entro i termini stabiliti,  di accettare il mandato; oppure
  2. quando viene ricevuto il suo avviso di dimissioni; oppure
  3. in caso di morte…

Charles Arnold-Baker

L’amministrazione del Consiglio locale

Settima edizione

Domenica

Barry Fairbrother non voleva uscire a cena. Aveva avuto un mal di testa martellante per quasi tutto il fine settimana e stava lottando contro il tempo per consegnare il pezzo al giornale locale entro la scadenza.

A pranzo tuttavia, sua moglie era stata un po’ fredda e taciturna, e Barry aveva concluso che il biglietto di buon anniversario non aveva attenuato il crimine di essere rimasto tutta la mattina chiuso nel suo studio. Il fatto poi che avesse scritto di Krystal, che Mary non poteva soffrire pur non dandolo a vedere, non migliorava le cose.

“Mary, voglio portarti fuori a cena” aveva mentito, per sciogliere il gelo. “Diciannove anni, ragazzi! Diciannove anni e vostra madre non è mai stata più bella.”

Mary si era ammorbidita e aveva sorriso, così Barry aveva telefonato al circolo del golf, che era vicino a casa e dove sicuramente avrebbero trovato un tavolo. Cercava di compiacere sua moglie nelle piccole cose, perché si era reso conto, dopo quasi vent’anni trascorsi insieme, di quante volte l’aveva delusa in quelle grandi. Non lo aveva mai fatto apposta. Semplicemente, avevano opinioni molto diverse sulle cose alle quali dare più spazio nella vita. (Salani Editore, traduzione di S. Piraccini)

[PART ONE

 6.11 A casual vacancy is deemed to have occurred

  1. when a local councillor fails to make his declaration of acceptance of office within the proper time; or
  2. when his notice of resignation is received; or
  3. on the day of his death …

Sunday

Barry Fairbrother did not want to go out to dinner. He had endured a thumping headache for most of the weekend and was struggling to make a deadline for the local newspaper.

However, his wife had been a little stiff and uncommunicative over lunch, and Barry deduced that his anniversary card had not mitigated the crime of shutting himself away in the study all morning. It did not help that he had been writing about Krystal, whom Mary disliked, although she pretended otherwise. 

‘Mary, I want to take you out to dinner’, he had lied, to break the frost. ‘Nineteen years, and your mother’s never looked lovelier’. 

Mary had softened and smiled, so Barry had telephoned the golf club, because it was nearby and they were sure of getting a table. He tried to give his wife pleasure in little ways, because he had come to realize, after nearly two decades together, how often he disappointed her in the big things. It was never intentional. They simply had different notions of what ought to take up most space in life. (The Casual Vacancy, 2012)]

[L’analisi che segue è a cura dell’amica e collega Luisa Bordin, che ringrazio]

A presidiare la soglia del romanzo, J.K. Rowling mette un estratto da un’opera di un avvocato inglese, tale Charles Arnold-Baker (1918-2009) – Local Council Administration. Nello specifico, l’estratto concerne “la vacanza”: un posto in politica può diventare vacante per tre ragioni. La prima, direi, per negligenza, la seconda volontaria, la terza del tutto casuale, ineluttabile. Mi chiedo come mai l’autrice abbia ritenuto di dover fare questa premessa che ha il sapore di un indizio fornito al lettore. Qual è il suo intento? Una sorta di indovinello? O solo un’anticipazione di ciò che accadrà? Vero è che la citazione di tipo giuridico estrapolata da un testo autorevole indirizza fin dall’inizio il percorso del lettore. Io stessa infatti nel momento in cui ho visto il titolo mi sono chiesta cosa potesse significare: “un vuoto accidentale”? “un impiego vacante”?. Il lettore italiano perde completamente il riferimento al tipo di “vacanza.” The Casual Vacancy diventa infatti Il seggio vacante e basta. La citazione sembra essere un indizio proprio per capire l’aggettivo casual che nel titolo italiano proprio non c’è. Ma perchè casual? Ho il sospetto però che l’autrice  abbia voluto giocare un po’ con il significato di casual anticipando appunto qualcosa al lettore: delle tre possibilità citate trovo che solo una possa essere casual……… Mi sembra infine interessante la  trasformazione dell’articolo indeterminativo “un” nella definizione di Arnold-Baker nell’articolo determinativo “il” nel titolo, il passaggio dal caso generico al caso particolare e cioè la storia che ci racconterà il narratore: a casual vacancy diventa the casual vacancy, proprio quello di cui il lettore leggerà nel romanzo.

Ed eccoci finalmente all’inizio vero e proprio.

E’ domenica. Il  romanzo inizia con un’affermazione lapidaria: “Barry Fairbrother non voleva uscire a cena.” Non vuole uscire perché ha un terribile mal di testa che dura da quasi tutto il weekend. Dopodichè, nelle righe successive ci viene presentato il  quadro di una famiglia che si presume della media borghesia: Barry prenoterà un tavolo al golf club e sta scrivendo un articolo per un giornale locale. C’è una moglie stizzita dal fatto che il marito sta festeggiando il loro anniversario chiuso nel suo studio, ci sono due figli che si presume siano adolescenti visto che il matrimonio dura da diciannove anni. Trapela un tipico ménage tra marito e moglie in cui il rapporto si è incrinato nel corso degli anni, sostituito dal gelo della moglie, dato da incomprensioni e priorità diverse. Ci viene anche riferito che la moglie ha un’antipatia per una certa Krystal, un’antipatia che, da brava borghese calata in una società borghese, cerca di nascondere. Barry è tormentato dall’insistente mal di testa, ma annuncia alla moglie che la porterà fuori a cena, la adula di fronte ai figli proclamando che dopo diciannove anni la loro madre non è mai stata così adorabile. Due cose sono sospette, e in effetti intriganti: il fatto che il narratore ci riveli in così poco spazio un numero così elevato di informazioni su questa famiglia (come se avesse fretta di presentarcela) e il fatto che Barry sta fingendo, mentendo: finge di non stare male, finge un complimento alla moglie, finge  di voler uscire a cena. Barry mente alla moglie, ma non al lettore. Il dolore è davvero presente, non è una scusa: “martellante, lottando” trasmettono la portata del mal di testa. Egli nasconde questo dolore per accontentare la moglie. Anzi, gli dispiace di non renderla felice, si rende conto delle sue mancanze nel corso del loro matrimonio “si era reso conto, dopo quasi vent’anni trascorsi insieme, di quante volte l’aveva delusa in quelle grandi”. Sta il narratore preparando  il terreno affinchè il lettore provi simpatia per Barry? (neppure il cognome è a caso!).

C’è comunque il  sospetto che la bugia (o l’ipocrisia) faccia parte di questa famiglia; anche la moglie infatti  “finge” che Krystal le stia simpatica. Questa ipocrisia mi sembra sia presentata su due livelli: volutamente e inequivocabilmente comunicata al lettore e consapevolmente (o abitudinariamente) vissuta dai due personaggi, Barry e Mary. Un’ipocrisia che sembra anticipare un filo conduttore per ciò che verrà in seguito.

Un inizio tutto sommato prevedibile allora;  o volutamente prevedibile? Perchè ci viene detto tutto e subito su questi due personaggi? Proprio di lì  a poco  queste certezze apposta insinuate nel lettore verranno bruscamente sovvertite.

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Assoluzione (Patrick Flanery, 2012)

AssoluzioneSam

“Mi hanno detto che ci siamo incontrati a Londra, signor Leroux, ma non mi ricordo di lei”, dice, provando a tenere il corpo eretto, a raddrizzarlo anche dove il corpo si rifiuta. “E’ vero. Ci siamo incontrati. Ma solo per un momento.” In effetti non era stato a Londra ma ad Amsterdam. Lei ricorda la consegna di un premio, a Londra, dove io non c’ero. Io ricordo il convegno ad Amsterdam in cui parlai in qualità di promettente giovane esperto della sua opera. Allora mi strinse la mano con grazia. Rideva, aveva qualcosa della ragazzina ed era un po’ ubriaca. Questa volta non la vedo minimamente alterata. Non l’ho mai incontrata a Londra.

E poi c’è stata quell’altra volta ovviamente.

“La prego mi chiami Sam,” aggiungo. (Assoluzione, Garzanti, traduzione di Alba Bariffi).

[Sam

‘I’m told we met in London, Mr Leroux, but I don’t remember you,’ she says, trying to draw her body upright, making it straight where it refuses to be.

‘That’s right. We did meet. Just briefly, though.’ In fact it wasn’t in London but Amsterdam. She remembers an award ceremony in London where I wasn’t. I remember the conference in Amsterdam where I spoke, invited as a promising young expert on her work. She took my hand charmingly then. She was laughing and girlish and a little drunk. I can see no trace of intoxication this time. I’ve never met her in London.

There was the other time, too, of course.

‘Please, call me Sam,’ I say.]

 

Titolo impegnativo. Una parola sola – carica, densa, pesante. Immediata è l’associazione con la confessione che si conclude tradizionalmente con l’assoluzione, appunto. Da un lato, quindi, associamo la parola al concetto di colpa e alla sua dissoluzione/soluzione. Dall’altro la associamo al mondo della confessione, non tanto (o non solo) al confessionale, ma al racconto della propria vicenda personale, alla ricerca di un senso, di un filo che illumini le connessioni, le scelte e (anche) le colpe. Il titolo, di per sè, pone l’accento sulla risoluzione, per così dire, della colpa, ma inevitabilmente la evoca dato che non c‘è la seconda senza la prima.

Impossibile dire di che colpa o colpe si tratti, chi sia il colpevole e chi sia investito dell’autorità per assolvere. Altrettanto impossibile sapere se l’assoluzione riguarderà Sam – il personaggio il cui nome dà il titolo alla prima sezione – e in che maniera (come colpevole o come assolutore).

Entriamo quindi già carichi di domande legate ad un titolo forte ed opaco allo stesso tempo. Ci accoglie un dialogo tra Sam Leroux e la scrittrice – supponiamo – di cui ci viene immediatamente detto Sam è “un giovane esperto.” La scrittrice, che per il momento è ancora senza nome, è brava (riferimento ad un premio) e di una certa età (come la notazione del corpo che non si vuole del tutto raddrizzare suggerisce). Al di là delle importanti informazioni che ci vengono fornite, credo ci sia ben altro da cogliere in questo inizio apparentemente piano. Leggiamo lentamente: lei dice che le è stato riferito che ha incontrato Sam Leroux a Londra. Lui risponde “è vero ci siamo incontrati, ma solo per un momento.” Lei non ricorda (l’incontro le viene suggerito da qualcun’altro – un assistente, una segretaria) e lui mente, o dice una mezza verità, come specifica Sam che è il responsabile del racconto in prima persona.

La dinamica di questo dialogo è senza dubbio comprensibile e giustificabile sul piano pragmatico. E’ facile, infatti,  immaginare il contesto: una scrittrice di una certa età e di una certa fama che probabilmente ha una vita sociale piuttosto intensa non si può ricordare i dettagli degli incontri che fa. E un giovane accademico che non vuole certo contraddire l’anziana scrittrice, nè tantomeno metterla a disagio. Ma è altrettanto innegabile che la nota su cui si apre il romanzo riguarda il rapporto tra il dire e il vero, da un lato, e tra il ricordare e il vero dall’altro.

La frase criptica “e poi c’è stata quell’altra volta ovviamente” rincara la dose perchè apre una finestra sullo spazio opaco del non detto, lo spazio del silenzio del ricordo – uno spazio ovvio per chi ricorda, ma, per adesso, per noi inaccessibile.

Se è vero che le prime righe intonano quanto segue, ci aspettiamo che quell‘“ovviamente”   ci venga raccontato alla ricerca di un verità che potrebbe stare al di là del dire e al di là del ricordare.

[Assieme a Francesco Pasquale, converserò con Patrick Flanery a Padova, domenica 13 ottobre alle 19 nell’ambito della Fiera delle parole

http://www.lafieradelleparole.it/programma/2013-10-13-assoluzione.html ]

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Harry Potter e la camera dei segreti (1999)

harry potter 2Il peggior compleanno

Non era la prima volta che scoppiava un litigio durante la colazione, al numero 4 di Privet Drive. Il signor Vernon Dursley era stato svegliato all’alba da un fischio acutissimo proveniente dalla camera di suo nipote Harry. “Tre volte in una settimana!” tuonò dall’altra parte del tavolo. “Se non riesci a tenere a bada quella civetta, dovrà andarsene!” Ancora una volta Harry provò a spiegare. (Salani, 1998 traduttore M. Astrologo)

[Harry Potter and The Chamber of Secrets. 1998

The Worst Birthday

Not for the first time, an argument had broken out over breakfast at number four, Privet Drive. Mr Vernon Dursley had been woken in the early hours of the morning by a loud hooting noise from his nephew Harry’s room. “Third time this week!” he roared across the table. “If you cannot control that owl, it’ll have to go!” Harry tried, yet again, to explain. ]

Il sapore dell’incipit della seconda puntata della saga del più famoso mago del mondo non può che essere diverso per il lettore che ha già al suo attivo il primo volume e per quello che legge il suo primo Harry Potter. Ma chi mai legge Harry Potter partendo da qui? Considerando come sono andate le cose, adesso, a ciclo concluso, è effettivamente improbabile immaginare questa possibilità. Ma nel lontano 1999, la Rowling doveva pensare a questa possibilità. La sua maestria sta qui nel riuscire ad accontentare entrambi i lettori possibili: non scoraggiare il neofita rimandandolo implicitamente al primo volume, e stuzzicare da subito il fedele che non vuole certo essere costretto al riassunto della puntata precedente per colpa di chi non c’era.

Si tratta di un incipit in medias res in cui il lettore viene semplicemente buttato in acqua: ovviamente solo per il lettore nuovo si tratta di acque sconosciute. Il lettore che ha già al suo attivo la prima puntata, si ritrova sì nel bel mezzo di una scena senza capo, ma sa già di che litigi si tratta avendo già assistito a quelli precedenti e il tuffo è per lui nelle acque conosciute che ha già imparato ad amare e a gustare. Acque conosciute o sconosciute, comunque, il “non era la prima volta” che si chiude a cerchio su “ancora una volta” permette al lettore di leggere la scena come rappresentativa di una modalità tipica di relazionarsi tra loro degli inquilini ben assortiti del numero quattro di Privet Drive. E’ interessante notare come la relazione tra il signor Vernon Dursley e Harry, assolutamente opaca nel primo inizio, è qui immediatamente esplicitata: “suo nipote Harry.” Il nome Harry – a sua volta – è subito collegabile al titolo del libro: la camera dei segreti è qui adombrata nella camera di Harry abitata da un volatile che assomiglia ben poco a un canarino.

Il lettore novizio è messo comunque nelle condizioni di cogliere immediatamente l’orizzonte tematico che funge da scheletro degli eventi che verranno narrati. Lo stesso effetto di contrasto tra normalità e stranezza, i due campi semantici attivati come abbiamo visto nel primo volume della serie è qui significativamente riproposto: la scena infatti evoca una vita familiare la cui ferialità viene letteralmente squarciata da una presenza tutt’altro che domestica – una civetta che intrattiene chiaramente una relazione con Harry, ma non con il signor Dursley. I due mondi non parlano lo stesso linguaggio e sono reciprocamente impermeabili tra loro come indica chiaramente l’“ancora una volta” che precede l’ennesima spiegazione (vana) di Harry. Eppure i due ci vengono presentati come parenti. Siamo già pronti a scommettere che il peggior compleanno sarà proprio quello di Harry.

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