Chi racconta questa storia?

 

Due tagliL’ incipit che ho commentato tratto dal romanzo di José Saramago, L’uomo duplicato, è un esempio di narrazione in terza persona. La questione è piuttosto complessa e, a seconda delle scuole critiche (e del relativo vocabolario) in gioco, può venire descritta in maniera diversa.

Cerchiamo di semplificare: se c’è un detto (la storia narrata) ci viene istintivo pensare ci sia qualcuno che dice. Ci viene istintivo, perché così funzionano le cose nel mondo che conosciamo. In fin dei conti, una definizione di narrazione abbastanza soddisfacente perché articola un concetto intuitivo è la seguente: una narrazione consiste in qualcuno che dice a qualcun altro che è successo qualcosa. “Il qualcuno che dice” è il narratore che può dire “io” e far parte quindi del mondo narrato come personaggio (protagonista o meno) oppure no. A questo secondo caso appartiene l’incipit di Saramago.

Se questo qualcuno non è presente come personaggio, tuttavia, non significa che la sua presenza non sia percepibile. Un modo per catalogare il variegato gruppo di questo tipo di narratori è proprio il loro grado di visibilità, o, per essere più precisi, di udibilità. Ci sono infatti narratori essenzialmente inudibili di cui non riusciamo a farci un idea, e narratori che – invece – riusciamo in qualche modo a individuare tra le pieghe di quello che dicono e delle parole che scelgono. Con che narratore abbiamo a che fare qui? Prima di tutto un narratore che ha l’aria di sapere parecchie cose, compresi i pensieri del protagonista. Ha accesso alla sua interiorità, ci dice per esempio, quali dei suoi nomi, il nostro riesce ad ammettere, esattamente da quando il nome Tertuliano gli pesa come un macigno, e che cosa probabilmente pensa della situazione che vivrebbe adesso se avesse avuto figli. Addirittura, il narratore dimostra di sapere cosa il protagonista non ricorda.

Il piglio è quello di qualcuno che ha in mano tutto il quadro e ne è consapevole (e se ne compiace pure). Capiamo tutte queste cose istintivamente, ma possiamo anche indicare i luoghi testuali che contribuiscono a formare questa impressione: espressioni come “in verità”, “per dirla con la precisione clinica che l’attualità richiede”, “per avere un’idea chiara del suo caso, basti dire…” ci fanno sentire inequivocabilmente che il narratore non si vuole nascondere, ma vuole che noi ci accorgiamo che c’è qualcuno al timone a guidare la rotta della narrazione, dall’alto, ovvero da una posizione di maggiore conoscenza. Dico maggiore conoscenza e non onniscienza solo perché la prova del nove ce la può fornire solo il proseguimento del libro e la dimostrazione che il narratore ha accesso anche ad altre interiorità. Diciamo che quello che ci offre l’incipit giustifica una scommessa in questo senso. L’effetto sui lettori di questo tipo di voce autorevole che ci dà l’idea di parlare con cognizione di causa riguarda la nostra immediata disponibilità ad affidarci.

Ma che altri tipi di narratore in terza persona ci sono? Avremo modo di parlarne in una delle prossime soste.

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