Sulle terre rosse e su una parte delle terre grigie dell’Oklahoma le ultime piogge furono leggere, e non lasciarono traccia sui terreni arati. Le lame passarono e ripassarono spianando i solchi piovani. Le ultime piogge fecero rialzare in fretta il mais e sparsero colonie di gramigna e ortiche ai lati delle strade, tanto che terre grigie e le terre rosso-scure cominciarono a sparire sotto una coltre di verde. Nell’ultima parte di maggio il cielo si fece pallido, e scomparvero le nuvole che in primavera avevano indugiato così a lungo con i loro alti pennacchi. Il sole prese a picchiare giorno dopo giorno sul mais in erba, fino a screziare di bruno gli orli di ogni baionetta verde. Le nuvole ricomparvero, e si dileguarono senza tornare più. La gramigna si fece di un verde più scuro per difendersi dal sole, e smise di propagarsi. Il suolo si ricoprì di una crosta dura e sottile, e man mano che il cielo impallidiva. anche il suolo impallidiva, facendosi rosa nelle terre rosse e bianco nelle terre grigie. (Bompiani, traduzione di Sergio Claudio Perroni)
[The Grapes of Wrath
To the red country and part of the gray country of Oklahoma, the last rains came gently, and they did not cut the scarred earth. The plows crossed and recrossed the rivulet marks. The last rains lifted the corn quickly and scattered weed colonies and grass along the sides of the roads so that the gray country and the dark red country began to disappear under a green cover. In the last part of May the sky grew pale and the clouds that had hung in high puffs for so long in the spring were dissipated. The sun flared down on the growing corn day after day until a line of brown spread along the edge of each green bayonet. The clouds appeared, and went away, and in a while they did not try any more. The weeds grew darker green to protect themselves, and they did not spread any more. The surface of the earth crusted, a thin hard crust, and as the sky became pale, so the earth became pale, pink in the red country and white in the gray country. ]
Una dettagliata descrizione dei colori che si avvicendano sulle terre dell’Oklahoma con il passare dei mesi—dalle ultime piogge di maggio all’estate inoltrata. Così comincia il capolavoro di John Steinbeck, datato 1939. “This must be a good book. […] — slow but sure, piling detail on detail until a picture and an experience emerge. Until the whole throbbing thing emerges” scriveva lo scrittore nel giugno del 1938. La bontà del libro sembra essere collegata al ritmo, lento ma deciso, in cui a dettaglio si aggiunge dettaglio fino a quando prendono forma un’immagine e un’esperienza, fino a quando l’intera materia pulsante emerge. Steinbeck sembra dunque aver immaginato il suo lavoro come il progressivo costruirsi di un affresco che restituisca l’esperienza viva—pulsante appunto—di una vita vissuta.
L’affresco, dettaglio dopo dettaglio, ha fin da subito una forte componente visiva e cromatica: è un paesaggio tragicamente mutevole, questo dell’Oklahoma, che apre la scena di Furore trasformandosi impercettibilmente ma inequivocabilmente in terra arida senz’acqua e quindi senza vita. Le piogge portatrici di vita non lasciano traccia sui terreni arati dall’uomo perchè sono troppo leggere e sono le ultime. Il verde che copre le terre grigie e le terre rosse è effimero ed ha vita breve—il mais si rialza in fretta, ma ancora in erba diventa presto bruno, il colore dell’arsura foriera di morte. Quando le nuvole con i loro pennacchi scompaiono con l’avanzare di maggio se ne va con loro la speranza di un aiuto dal cielo. Significativamente per tre volte viene ripetuto il farsi pallido del cielo e del suolo, segno del dileguarsi della possibilità di vita e di rigenerazione in quei luoghi battuti da un sole impietoso e imperterrito che tutto dissecca e scolora. Anche l’erba cattiva, la gramigna, si rattrappisce nel tentativo di resistere a condizioni climatiche sfavorevoli al propagarsi, cioè al vivere. I colori sono quelli dello sfinimento, dello svuotamento.
Ben lungi dall’essere un giardino accogliente, questa terra americana non sembra poter dare sostegno all’uomo che la abita e la lavora. Il riferimento ai terreni arati non toccati dalla pioggia troppo leggera e alle lame che passano e ripassano nel tentativo vano di far penetrare quel poco di umidità che ha portato la pioggia dice di un uomo che lavora pervicacemente ma che nulla può contro queste condizioni. Il passare e il ripassare dice di una comunità che vive della terra e ne è dipendente, che non può essere indifferente alle condizioni atmosferiche.
Fino a quando la resistenza della gramigna sarà imitabile dall’uomo che abita questa terra ? Fino a quando il pallore della terra non diventerà sudario di morte?
L’affresco è già pulsante dopo un solo paragrafo, l’esperienza che emerge è quella della fatica a contrastare una forza sovrastante le umane forze. E’ questa la radice che provocherà frutti di furore?