Riprendo ed amplifico una nota. I personaggi meritano senz’altro una sosta tutta per loro, o chissà, più soste. Indubbiamente, molto spesso i personaggi sono quanto di più memorabile ci rimane di un libro letto. I nomi di alcuni sono diventati addirittura rappresentativi di una tipologia – basta citarli e atteggiamenti, caratteristiche, un modo di intendere il mondo, vengono evocati. Mi vengono in mente, per esempio, Madame Bovary o Amleto o Don Chisciotte.
Questi casi eclatanti e tutto sommato eccezionali attirano la nostra attenzione su una questione che è al centro del nostro rapporto con i libri: la permeabilità tra quello che c’è dentro un romanzo e quello che c’è fuori. Come mai sorridiamo, piangiamo, sogniamo e patiamo assieme a personaggi che sappiamo essere di carta? In una frase – e per citare un libro recente su questo argomento di Blake Vermeule, Why Do We Care about Literary Characters? (perchè ci importa dei personaggi dei libri?). La risposta è semplice e, in un certo senso, poco romantica: i meccanismi cognitivi ed emozionali che si attivano quando entriamo in relazione con i personaggi dei libri che leggiamo sono gli stessi che si attivano quando abbiamo a che fare con le persone in carne ed ossa che abitano il nostro mondo reale. Più tempo dedichiamo all’ascolto e alla comprensione di una persona vera e ci viene concesso il privilegio di accedere alla sua interiorità, più siamo coinvolti nel suo microcosmo (e molto probabilmente siamo disponibili a prendere le sue parti, e magari a sposare il suo punto di vista sulle cose). E dato che uno degli ingredienti magici dei libri è il privilegio di entrare nel mondo interiore dei suoi personaggi, non dobbiamo stupirci del nostro coinvolgimento. Il nostro “sentirci nei panni di” dipende dal vivere in maniera assolutamente letterale il “come se” su cui si basa il patto di lettura. Oppure, potremmo riformulare la questione e dire che la realtà delle nostre emozioni – le lacrime scendono proprio sulle nostre guance, la risata scoppia proprio nella nostra bocca – rende i personaggi emozionalmente veri, tangibilmente esistenti.
Per adesso, cioè per questa sosta, mi preme sottolineare che la letteralità del “come se” non è una scelta che si gioca a livello di coscienza, ma un meccanismo cognitivo ed emozionale automatico – a meno che non parliamo di lettori anaffettivi, ma appunto, l’anaffettività non riguarderebbe la lettura e basta, ma la vita.
Mi fermo qui. Troppa carne al fuoco? Sulla permeabilità, sugli automatismi, sul “come se” tornerò senz’altro.